Proteste di piazza.

Il 7 ottobre 2023 segna l’inizio di uno dei capitoli più sanguinosi della storia del conflitto israelo-palestinese. All’alba di quel sabato, il giorno santo per gli ebrei, circa 7000 militanti palestinesi irrompono armati in territorio israeliano aprendo il fuoco senza fare distinzione tra civili e militari. Le milizie Al-Qassam, la Jihad islamica e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina si assumono la piena responsabilità dell’attacco denominato “Alluvione Al-Aqsa”.

Il bilancio delle vittime è di circa 1250 persone uccise: tra i civili 12 bambini israeliani di età compresa tra 1 e 9 anni muoiono sotto i colpi dei fucili d’assalto, così 36 ragazze e ragazzi di età compresa tra i 10 e 19 anni. 421 le vittime tra i 20 e i 40 anni, la maggior parte uccise presso il Nova Festival, e nelle aree circostanti, tra cui anche Suhaib Abu Amer Razeem, un lavoratore 22enne palestinese proveniente da Gerusalemme est preso in ostaggio dai miliziani e rimasto vittima in uno scontro a fuoco. 261 morti tra i 40 e gli 80 anni, 25 le vittime di età superiore agli 80 anni.

Nelle vicinanze del kibbutz di Nahal Oz, un avamposto di 22 soldatesse disarmate appartenenti all’unità 414 cercano rifugio presso i loro alloggi, 7 riescono a salvare la vita scappando attraverso una finestrella nel bagno, le altre intrappolate nella stanza muoiono per l’inalazione del gas tossico immesso nell’ambiente dai miliziani di Hamas.

251 sono gli israeliani in ostaggio portati a Gaza, alcuni dei quali già morti.

Il governo israeliano risponde all’attacco con l’operazione “Spade di ferro”: la Striscia di Gaza, in cui vivono circa due milioni di persone, è posta sotto assedio. Il governo israeliano non fa distinzione tra civili e militari. Scuole, luoghi di culto, ospedali, infrastrutture sono presi d’assalto e cadono sotto il peso delle bombe. Nel giro di poche settimane Gaza si trasforma in un cimitero a cielo aperto, un lembo di terra inospitale alla vita. Il mondo inorridisce di fronte alle immagini degli animali randagi che si cibano dei corpi delle persone, degli sfollati bruciati vivi nelle tende allestite nei campi profughi, al blocco degli aiuti umanitari che espone i civili alla carestia e condizioni igieniche insalubri.

Il bilancio provvisorio è di 45mila vittime di cui 17mila minori, 25mila gli orfani, 13mila gazzawi massacrati in età scolastica.

Mentre in Medio Oriente si consuma la guerra, le piazze nel mondo si animano, ciascuna con un’identità che non conosce compromesso: chi sostiene l’insurrezione armata di Hamas, richiama all’Intifada, reputa Israele una forza di occupazione militare priva di civili, e chi invece riconosce Israele, condanna la belligeranza di Hamas, Hezbollah e degli Houthi auspicando un percorso di coesistenza pacifica e il reciproco riconoscimento della sofferenza che ciascun popolo ha inferto all’altro.

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